Sabato scorso
Marco Paolini e i
Mercanti di Liquore hanno fatto visita a
Paese (TV) dove hanno messo in scena il loro ultimo spettacolo, "Io e Margaret Thatcher".
Non vedevo dal vivo Paolini dagli eroici, comici, poetici tempi del Bestiario Veneto, anche se nel frattempo l'ho seguito attraverso i suoi
Album (trasmessi anche da Raitré).
Giganteggiano ancora sia lui, sia i Mercanti. E' un cantore veneto, quello che racconta delle avventure dell'operaio di
San Piero in Busa, del
barattolo di Illy col caffè che capita, dell'ansia
femo-calcossa-femo-calcossa. E' sarcastico, ma delicato: fa ridere, e fa pensare con delicatezza sulle nostre care, quotidiane assurdità.
Però è dura parlare due ore da soli sul palco senza (s)cadere nel moralismo, o dire stupidaggini. E il nostro invece ha (almeno) un paio di uscite perplimenti, a proposito della malattia della
lady di ferro e del
suo compare d'oltreoceano, e soprattutto degli
incidenti sul lavoro.
Scusa caro Paolini, ma paragonare i morti in Iraq coi morti in un cantiere è stata proprio un'uscita infelice. Certo, quella "missione di pace" non è piaciuta a nessuno, ma cosa giova confondere le acque? Proprio tu e quel vecchio orso poeta di
Mario Rigoni Stern mi avete stregato con uno stile sottile, delicato, cristallino: urlando tutto si disintegra, e anche la
ragione (quella poca che ci resta) si perde nella nebbia.
Un sergente nella neve forse non sarebbe scivolato così.